Una lettera
E' veramente emozionante leggere ricordi di scuola di un ex alunno dopo tanti anni.
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Non può passare in silenzio un'importante innovazione di ordinamento relativa alla scuola secondaria di secondo grado ma che in effetti avrà una ricaduta su tutto il percorso scolastico. Il ministero avvia una sperimentazione su 100 scuole superiori. 100 classi di altrettante scuole potranno candidarsi ad un diploma di maturità di quattro anni e non di cinque. Ciò vuol dire veramente rivoluzionare contenuti, didattica e orario giornaliero delle lezioni.
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LE SUPERIORI IN QUATTRO ANNI
La professione di docente è stata vista nei tempi ora di tipo creativo, come quella di un artista, ora invece come l’azione dettata da vocazione e da una missione da compiere, oppure come la scelta professionale <<opportunistica>> di chi intende accontentarsi di un “misero”stipendio, in cambio di un tempo libero, gelosamente difeso dalla categoria, come molti ritengono. Ma poco si è detto che è sì un <<mestiere>>, ma che, come tutti i mestieri, va appreso e non basta di per se stessa l’esperienza per dominarlo. Bisogna comprenderlo nella sua analitica descrizione e poi bisogna impadronirsi della cosiddetta cassetta degli attrezzi e sapere usarli tutti gli attrezzi del mestiere in essa contenuti. Ed è qui che scatta la competenza professionale, che vuol dire semplicemente saper dare risposta adeguata ai problemi che si pongono, al punto tale che il destinatario del servizio riconosce il successo proprio grazie a ciò che gli è stato proposto. Ma cogliere appieno cosa vuol dire essere un docente <<efficace>>, cioè un <<docente competente>>, vuol dire anche addentrarsi in una disamina sulla scuola oggi e sulla scuola del futuro. Quindi mi sembra giusto avviare un processo di riflessione articolato e ampio, soffermarsi sui vari punti di vista oggi presenti e cercare di esemplificare un percorso logico e ideale che porti a definire quand’è che una scuola sia competente e come una scuola competente possa sfociare in un’idea di scuola come Utopia.
(Dei semidei comuni mortali, Caosfera Edizioni)
Per queste ragioni simboliche, culturali, umane, pedagogiche, come mi capitava da docente di andare al mattino all’inizio delle lezioni incontro ai miei studenti sul portone della scuola o nel cortile,
dove si radunava la classe nello spazio assegnato, così da preside subito presi l’abitudine al mattino (tutte le mattine!) di fermarmi sull’uscio del portone dell’edificio scolastico e salutare gli studenti (e docenti e il personale
tutto) a mano a mano che varcano l’ingresso. Notai che siffatta abitudine ebbe subito un grande successo. Venne apprezzata da genitori e alunni, soprattutto perché il mio <<buongiorno>> era accompagnato ora da sorriso, ora da uno scambio
di battute, ora da pareri su problematiche lì per lì espresse. Diventò una fase cruciale della gestione giornaliera dei rapporti con tutti, in particolare con gli studenti.
La scuola come Utopia vuole essere il punto di fuga per la progettazione didattica ed educativa, nel senso che intende "pensare in grande" in ogni sua articolazione e programmazione. Per questo fa del luogo scuola non tanto un ου (= non) luogo, dove ου sta appunto per negare l’esistenza del luogo, ma ευ (= bene) luogo, quindi luogo felice, beato, quindi non Utopia, ma Eutopia. Ecco che la scuola come Utopia (nella variante indicata) vuol dire luogo felice, luogo bello, inteso come ambiente protetto, racchiuso ed è già una grande utopia, questa sì filosofica, immaginare che possa esistere questo luogo, dove degli adulti si prendono cura delle giovani generazioni. E prendersi cura utopicamente vuol dire non appiattirsi sulla cultura dominante, non omologarsi alla realtà circostante. Per questo il luogo separa non per astrarsi e fuggire, ma perché la realtà, tenuta fuori, possa essere analizzata e discussa. E per assolvere a questo scopo il luogo utopico deve avere alcune caratteristiche come quella di luogo dal grande umanesimo, dai valori inclusivi, luogo del rispetto della dignità delle persone, dell’uguaglianza e della libertà e dell’autonomia, luogo in grado di fornire gli strumenti cognitivi per fronteggiare la realtà esterna in tutte le sue dimensioni. Per questo la scuola è Utopia del presente ma anche aspirazione ad un futuro migliore, ma non come soluzione escatologica, non come Utopia di Tommaso Moro, come Il De Civitate Dei di S. Agostino, come La città del Sole di Tommaso Campanella, come La Nuova Atlantide di Francesco Bacone, ma come profonda aspirazione ad essere uomini e cittadini competenti cioè forniti di abilità tecniche umane e di pensiero, dove tutto non è dato una volta per sempre e dove tutto è un continuo divenire e un continuo costruire. E allora Utopia è avere i riferimenti e le guide che sono sensibilità, amore e conoscenza. E non può essere Utopia solo il futuro che si delinea con lo studio e con le competenze acquisite, ma Utopia è anche il presente dello studente, che si trova in un luogo Utopico, perché è protetto, perché è ascoltato, perché può dialogare e confrontarsi, perché apprende, si arricchisce di conoscenze del passato ma fa, grazie a quelle, anche ricerca culturale, perché esercita già le regole della vita politica con la prassi civica della scuola, perché trova adulti con cui si confronta senza autoritarismi e severità, dove vive la norma non con eteronomia ma autonomia, dove ha consapevolezza e amore per la cultura e il fare. E in tal modo gli studenti sperimentano l’Utopia non come un luogo che non esiste e non esisterà, ma come luogo presente dove è possibile, ancorché protetti, esercitare la responsabilità, vivere con coerenza, guardarsi dentro e proiettarsi in un futuro.
Il primo giorno di scuola mi <<scatenavo>>. Alle otto del mattino, fuori dal portone dell’edificio scolastico, accoglievo gli alunni più grandi e l’ora dopo facevo entrare in aula magna tutti gli alunni nuovi delle prime classi. Era un momento solenne. Si coglieva nei volti degli alunni l’ansia del primo giorno di scuola ed era evidente la loro emozione di varcare la soglia di una scuola superiore, questo luogo simbolico della loro crescita e dell’inizio di un futuro tutto da scoprire. Desideravo che venisse valorizzato opportunamente questo momento irripetibile, che si sarebbe riproposto con ben altre emozioni e con altro sentire di lì a cinque anni, quando il preside avrebbe salutato i diplomandi, prima dell’esame di stato in attesa di un salto in un mondo sconosciuto di futuro universitario o di futuro lavorativo incerto. In questo clima solenne di alunni trepidanti e silenziosi, alla presenza di qualche genitore, che non aveva potuto fare a meno di affiancare il figlio o la figlia in questo momento così importante, attaccavo la mia orazione con il tono di voce adeguato, ora pacato, ora solenne, ora ricco di retorica espressività.
<<Buongiorno, ragazzi, e benvenuti! Io sono il vostro preside e accanto a me vedete i miei due eccellenti collaboratori che saranno anche insegnanti per alcuni di voi. Desidero complimentarmi con voi per la vostra scelta. Complimenti per aver scelto questo indirizzo di studi, complimenti per aver scelto questa istituzione scolastica. Complimenti a voi e ai vostri genitori, che hanno condiviso con voi la scelta. Questa è una <<bella>> scuola. Da questa scuola voi uscirete "competenti"e ben preparati. Sarete in grado di affrontare gli studi universitari oppure il mondo del lavoro. Sarete medici, ingegneri, ma anche letterati, uomini politici, alcuni diventeranno anche famosi nei vari campi della scienza e della cultura, e così via. Ma più ancora sarete "competenti" della vita. Perché questo è il nostro e il vostro obiettivo: essere bravi professionisti ma nello stesso tempo essere anche bravi cittadini e rispettosi del bene collettivo. Sarete uomini e donne che si impegnano per una società migliore. È per questo che noi abbiamo organizzato una scuola in cui ciascuno di voi, nessuno escluso, si possa sentire in un contesto "amico", accogliente. Per questo, quando al mattino varcherete la soglia di accesso alla scuola, dopo il saluto che vi rivolgerò, sarete in un edificio che è il vostro nuovo mondo per cinque anni (forse per qualcuno potranno anche essere sei anni), ed è qui che voi dovete dare sfogo alla vostra sete di conoscenza, perché è nella natura umana aprirsi ai nuovi orizzonti del sapere del passato e del presente, ma più ancora voi qui eserciterete le vostre attitudini personali e le vostre inclinazioni intellettuali, seguirete i vostri interessi e le vostre passioni espressive, sentirete forte il bisogno di appartenenza a questa scuola e la sentirete vostra, per questo la rispetterete sempre e sarete coerenti con le regole organizzative, perché sono le vostre regole, perché voi siete autonomi, ma nello stesso tempo rispettosi dell’ambiente che vi circonda. Oggi è il primo giorno di scuola e leggo nei vostri volti l’intensa emozione di scoprire le novità e di iniziare questo nuovo e coinvolgente percorso. Non disperdiamo questa grande forza emotiva che è data dalla curiosità delle sorprese che saranno offerte dalla scuola. Facciamo in modo che questo primo giorno di scuola diventi permanente, ogni giorno successivo per tutti gli anni a venire sia sempre come il primo giorno. Manteniamo intatta questa emozione che abbiamo dentro di noi adesso! È un percorso lungo, ma alla fine vedrete che il tempo passa e qui voi diventerete donne e uomini adulti. Qui si forgia il vostro carattere e qui si definiscono le vostre intelligenze. Abbiate fiducia nei vostri docenti che vi guideranno nei sentieri complessi della conoscenza, non abbiate paura di sbagliare, non temete di non farcela, vi sosterremo, c’è qui da noi un forte senso di solidarietà! Pensate, esiste anche un aiuto da parte dei vostri compagni del triennio superiore, questi studenti più grandi mettono a vostra disposizione le loro conoscenze. Non bisogna drammatizzare quando si prendono i cattivi voti, visto che si appartiene ai comuni mortali. Bisogna comprendere dove si è sbagliato e si deve guardare avanti. Bisogna sempre rilanciare, riprendersi ad ogni insuccesso. Bisogna che non si dica mai di fronte ad una difficoltà: " Questa scuola non è fatta per me!" C’è un segreto per il successo scolastico ed è costituito da una sola parola: "passione". Bisogna fare le cose con passione, bisogna trovare interesse nello studio che si affronta, anche se obbligato. Non si deve aver paura di chiedere ulteriori spiegazioni ai vostri insegnanti, che sono le vostre guide e i vostri tutor. Potete rivolgervi anche a me per presentare i vostri problemi, non dovete avere preoccupazioni di sorta, siete in un luogo protetto, dove si costruiscono le categorie del sapere e le regole della convivenza umana.>>
A conclusione del discorso era un po’ come rompere un tabù, entrare in un magico connubio di piacere e senso di dovere, e allora scattava un lungo applauso liberatorio, erano tutti pronti ad essere affidati all’insegnante dell’ora di lezione successiva. Accaldato, pieno di sudore che mi scendeva lungo la schiena, mi sedevo e iniziavo a leggere i singoli nomi degli alunni inseriti nelle varie classi. Il rito si era concluso e un senso di grande soddisfazione mi accompagnava per l’intera mattinata.
E così nella scuola superiore ad ogni proposta di voto il docente, non dichiarando altro che la media aritmetica dei voti assegnati alle interrogazioni orali o alle singole verifiche scritte, veniva invitato a descrivere il processo di apprendimento sintetizzato in quella proposta. Purtroppo la risposta era sempre legata all’esito valutato con il voto e quindi veniva riproposta la media che per <<bontà>> era definita per eccesso e non per difetto. Ma di fronte all’insistenza di leggere o capire da quei dati quale fosse effettivamente la caratteristica o la “qualità” del processo di apprendimento, calava il silenzio e il preside risultava un fiscale ficcanaso che metteva in dubbio l’esito delle prove. In generale avevo la percezione sia alla scuola media che alle superiori lo scrutinio venisse vissuto come una specie di resa dei conti, di azione di giustizia scolastica, anche con il carattere dell’esemplarità, perché il vero fine di questo momento del curricolo scolastico era quello di dover far pagare il conto sia in termini positivi inteso come merito sia come ritorno punitivo di inadempienze e di scarso interesse per la scuola. Ma raramente come verifica del lavoro svolto in un anno di insegnamento, come dovrebbe essere per una “scuola competente”, libera da ogni forma di autoreferenzialità. Lo scrutinio quindi come zona franca, in cui poter riprendere quell’autorevolezza che era stata messa in discussione da genitori, alunni e, talvolta, anche dal preside. E per questo però risultava anche espressione di elementi significativi del profilo di competenza del docente. O il permissivismo e la leggerezza nella valutazione per non aver grattacapi oppure un rigore schematico nella proposta di misurazione dei livelli raggiunti di apprendimento con una media degli esiti di prestazione che prendeva in considerazione anche il momento quando la prestazione non c’era stata e corrispondeva ad un rifiuto di interrogazione (il classico “impreparato”) oppure ad una mancata esecuzione di un compito assegnato. E in questo modo la valutazione tecnica di prestazione diventava valutazione etica di comportamenti inadempienti. E l’attenzione effettiva all’apprendimento?
Una scuola competente riesce a distinguere gli elementi tecnici da quelli comportamentali, e in fase di scrutinio distingue i due momenti e non fa prevalere l’uno sull’altro e, se si sta discutendo dei dati tecnici, questi non vengono oscurati semplicemente da quelli comportamentali, per un’esigenza morale ed educativa. E inoltre, essendo lo scrutinio un vero e proprio procedimento amministrativo che si conclude con un atto finale che è definitivo e impugnabile solo davanti ad un tribunale amministrativo, l’attenzione agli aspetti formali dovrebbe salvaguardare almeno la coerenza tra gli elementi che concorrono alla delibera conclusiva e costringe tutti ad un serrato confronto in modo che il carattere della collegialità rappresenti una garanzia contro alcuni arbitri ed eccessi di potere.