“Lettere da Trieste 1937 – 1940” è il racconto di un matrimonio tra un carabiniere in servizio a Trieste e la sua fidanzata che si trova a Portici in provincia di Napoli. Sono le lettere scritte e inviate realmente dal carabiniere alla sua fidanzata. È una storia particolare perché si sviluppa soprattutto in una relazione basata sul rapporto epistolare, abbraccia gli anni immediatamente precedenti allo scoppio della seconda guerra mondiale, dal 1937 al 1940. L’opera è divisa in più parti: la prima definita <<l’archivio di mia madre>> dà conto di come l’autore del libro sia venuto in possesso delle lettere che erano state conservate gelosamente dalla protagonista femminile della storia d’amore, la seconda parte, suddivisa a sua volta per ciascun anno di invio delle lettere, assume dei titoli che sintetizzano come si sviluppa il rapporto: <<l’innamoramento>>, <<la promessa (l’attesa)>> , <<la riconciliazione>>, <<il matrimonio>>, la terza parte definita <<appendice>> riporta alcune lettere, presenti sempre nell’archivio, scritte dalla fidanzata e da parenti, la quarta e ultima parte dal titolo <<l’epistolario, note di filologia testuale>> vuole essere un breve saggio sul senso di tutta l’operazione messa in cantiere dall’autore: perché pubblicare delle lettere private in una funzione narrativa e letteraria. Ciascuna lettera è preceduta sempre da un commento che vuole essere la voce narrante della storia che è direttamente rappresentata dai protagonisti. Possiamo dire che è l’edizione critica di un epistolario privato. È applicare il metodo critico letterario ad un testo che non nasce come opera narrativa per essere divulgata, bensì destinata a dissolversi, come mille altri atti della vita quotidiana, se non c’è un’intenzione di strappare alla caducità del tempo gesti di memoria personale. Una piccola documentazione fotografica e una breve bibliografia chiudono l’opera che può essere definita epistolario d’amore, oppure breve saggio documentale sulla narrativa postmoderna.
Il romanzo è definito ibrido, perché apparentemente si presenta sotto la forma di un saggio, ma ben presto se ne distacca, in quanto diventa narrazione in prima persona di esperienze scolastiche alla ricerca di un senso di quanto è stato vissuto sulla propria pelle nel mondo della scuola. Vicenda individuale di un io narrante, che però si offre ad essere personaggio trasversale, che vive problematiche che riguardano la condizione universale della vita scolastica. La trama è soprattutto un intreccio di idee e i fatti narrati, sulla base dell’immaginazione poetica del vero, sono al servizio di una storia, che ha il suo centro sempre nella ricerca di significato di ciò che è accaduto. L’incipit del romanzo vede un preside di scuola superiore che si ritrova a dover affrontare un difficile problema di gestione delle relazioni tra insegnante, genitori e alunni, a tal punto che si vede costretto a cercare una soluzione al di là dei soliti schemi concettuali di interessi contrapposti. In breve il preside, dopo i primi tentativi di soluzioni ovvie, va alla scoperta di un modello di interpretazione, che possa in qualche modo rispondere alle domande che arrivano da genitori e alunni, non chiudendosi in una difesa corporativa di un servizio scolastico che sempre più appare inadeguato ad un bisogno educativo e culturale importante che viene da una società in forte evoluzione. Una volta definiti i contorni concettuali e culturali di questo modello di lettura di un fenomeno che il protagonista ritiene molto pressante e che definisce di <<incompetenza>> della scuola non solo del presente, ripercorre tutta la sua vita scolastica prima come studente (addirittura riferendosi anche a momenti della sua esperienza di bimbo collocato per un giorno nella scuola dell’infanzia), poi come insegnante e infine come preside. È un itinerario intellettuale a ritroso, illuminato dal modello di analisi che è stato elaborato e che gli permette, quindi, di rivivere, con altra luce, fatti importanti e significativi della sua vita scolastica, nelle diverse epoche e nei diversi ruoli svolti. Ma alla fine non trova la sintesi nella legittimità e verità di quel modello, che appare anch’esso insoddisfacente a fronte di quanto emerso dalla ricostruzione della sua vita.È altra la risposta che sta dietro sia all’esperienza scolastica rivisitata che dietro alle particolari teorie interpretative presentate. Essa risiede nella dimensione utopica della vita scolastica che gli studenti stessi, veri protagonisti del romanzo, fanno alla fine intravedere. È quel mondo tutto interno, protetto e difeso della scuola, in cui si muovono le nuove generazioni, che dà senso e legittimità ad un’istituzione che non potrà mai morire, finché gli uomini avranno vita sulla terra. È l’umanesimo della convivenza civile e della crescita culturale e tecnologica che impregna di sé il senso della scuola oggi e sempre più del futuro. Quindi una trama narrativa tutta interna ad un pensiero di ricerca e di verifica. L’io narrante si mostra in diversi aspetti e momenti della vita scolastica, coglie particolari e sfumature di un’esperienza che a mano a mano diventa riflesso di altre epoche storiche, dove la scuola è specchio di un mondo che cambia in maniera sempre più vertiginosa. Ma non basta essere competenti, non basta essere efficienti ed efficaci, la scuola ha bisogno d’altro per non soccombere. Ha bisogno di una fiducia nei giovani, nel credere che il luogo d’incontro e di apprendimento sia il luogo di esercizio dell’Utopia, luogo reale, quotidiano di umanesimo e di esaltazione della dignità della persona. Il protagonista del romanzo vuole far cogliere questa epifania in una progressiva crescita che va oltre le ideologie, oltre le competenze tecnologiche, oltre le grandi riforme dei sistemi scolastici. È un grande progetto educativo che vede gli studenti quali veri protagonisti della ricerca del sapere e del sogno di costruzione di una vita che, prima di essere proiettata in una speranza nel futuro, sia nel presente quotidiano della scuola la concreta realizzazione di un modello di convivenza e di studio inclusivo, accogliente, non selettivo, al di fuori di schemi e di rigidità, così come appare nella splendida rappresentazione degli incontri fra i saperi, raffigurati da Raffaello nella Scuola di Atene, paradigma perenne della bellezza socratica del conoscere.
“Tess, amica mia” è la storia di un cane e della sua anima, come recita il sottotitolo, che già fa intravedere una presa di posizione a favore di una coscienza e di una profonda sensibilità del migliore amico dell’uomo. È un saggio fondamentalmente sulla vita umana e animale, un piccolo trattato filosofico sul senso della vita e sulla fede. Parte dall’amicizia tra gli esseri viventi, ma si sofferma sulla condizione di vita, che è una condizione di necessità, in quanto imprigionata nelle ferree leggi della scienza e della natura. Viene indicata la via di fuga, che è data dalla razionalità, dal bene e dalla solidarietà umana. Sullo sfondo domina la pietas virgiliana. Il testo rompe con gli schemi e gli stili consolidati della letteratura tradizionale e pur tuttavia si serve di due categorie espressive ben precise: nella prima parte la narrazione acquista la forma del romanzo, in quanto è la storia prima di un sentimento di repulsione per il cane e poi di un grande innamoramento, nella seconda parte la forma espressiva è quella dell’autobiografia, in quanto viene data voce al cane, che attraverso il suo io letterario riesce a farsi ascoltare la sera dal suo amico e gli espone il suo punto di vista canino sulla vita in comune. Per questo l’autobiografia diventa un grande documento morale e filosofico, un vero manifesto per la difesa della natura e della vita per tutti gli esseri viventi contro chi sostiene una superiorità della specie umana, che giustifica alcune forme di sopraffazione e di violenza da parte dell’uomo. Ma c’è qualcosa di più, è l’elogio dell’amicizia, un sentimento grandissimo che può legare due esseri viventi a prescindere dall’appartenenza a specie diverse, ad ordini di natura o sociali diversi, e che solo può permettere di comprendere un linguaggio, che sarebbe diversamente chiuso ad ogni comprensione umana.
È possibile scrivere oggi un romanzo epico? E che cosa vuol dire romanzo epico? Il romanzo epico è una narrazione che vuole mettere in risalto le dimensioni umane e quotidiane sottoposte a forti accelerazioni della storia. È l’intera vita di un uomo e di una donna colta nell’arco del suo svolgimento. Il centro della narrazione è la ricerca di una felicità e di una condizione di equilibrio che la vita non concede, ma che l’uomo e la donna con tutta la loro passione e volontà s’impegnano a conquistare, nonostante l’incombenza di eventi di enorme portata, difficilmente controllabili dai singoli individui. Ma il romanzo epico è anche rappresentazione di universali sentimenti, che muovono gli esseri umani nelle loro azioni, è teatro di grandi scenografie di società in evoluzione, di risposte date o tradite dalla politica, è anche rivivere con occhi nuovi un passato tragico o nostalgico, è anche vedere più elementi diversi, contraddittori, poliedrici, che si avviluppano attorno ad episodi antichi o rinnovati. E nel romanzo epico si muovono archetipi cantati di umani sogni impossibili senza che ci sia la trasformazione poetica e la ricerca di nuove fonti di ispirazione>> . Attraverso una cornice narrativa fantastica, che segue lo sviluppo della sofferenza creativa di Virgilio alle prese con il potere politico per il suo progetto epico, il romanzo narra la vicenda di una coppia di sposi a partire dai tragici giorni del bombardamento di Trieste nel 1944 fino ai giorni nostri. L’intreccio dei piani narrativi (la vicenda del troiano Enea, vissuta nella genesi creativa del Poeta, la ricerca di stabilità ed equilibrio della coppia, colta nella completezza del suo ciclo vitale, la ricostruzione dell’Italia postbellica con tutti gli sviluppi politici ed economici dei decenni successivi) permette una rappresentazione della vita umana nelle sue perenni domande di felicità e di senso sia a livello individuale che di società. Il racconto si sviluppa attraverso tre grandi periodi cronologici così definiti: Gli anni della distruzione – Gli anni della speranza – Gli anni della crisi, durante i quali le vicende dei singoli si misurano con le grandi e inesorabili accelerazioni della storia (le lotte di liberazione, la nascita della repubblica italiana, la ricostruzione e il boom economico, il sessantotto e la contestazione, le stragi fasciste, i grandi cambiamenti culturali, ecc.), che ostacolano gravemente quella ricerca dell’Antica Madre, che è insita nel cuore di ogni essere umano. E allora la quotidianità affrontata in siffatti contesti diventa impegno epico per donne e uomini, che pur non diventando eroi dei libri di storia, si mostrano quali veri protagonisti di sogni impossibili e di felicità ricercate con profonda coerenza personale.
Manoscritti scandalosi sono una raccolta antologica di testi scritti negli anni sessanta che l’autore ha ritrovato chiusi in un cassetto e miracolosamente conservatisi per circa cinquant’anni. È stato come aprire un archivio della propria adolescenza. Il materiale venuto alla luce è risultato composto da moltissimi quaderni scritti con grafia curata e chiara, da fogli dattiloscritti con una Olivetti 24 difettosa e da foglietti sparsi di appunti, testi poetici, annotazioni varie di vita quotidiana o di considerazione letteraria. Un materiale alla prima lettura caotico e informe. L’autore pian piano ha cercato di dare sistematicità ed è rimasto sorpreso, come se quello che leggeva non gli fosse appartenuto né per contenuto né per stile. Ha avuto difficoltà a riconoscersi in quei manoscritti e, quasi a giustificarne la distanza, li definisce scandalosi. In realtà la vera sorpresa è stata quella di avere tra le mani dei testi originali di un’età giovanile in qualche modo dimenticata, e più ancora l’eco di un decennio del secolo scorso molto particolare e significativo sia sul piano storico e politico in generale che per le forme espressive della tradizione letteraria. Dai documenti emergono, infatti, temi legati a correnti di pensiero del tempo e a suggestioni letterarie che avevano caratterizzato le varie avanguardie e sperimentazioni stilistiche e formali: nichilismo, esistenzialismo, surrealismo. Dominante è il tema dell’eros e dei rapporti di genere. Ma è l’insieme di un disagio esistenziale, di una noia e inadeguatezza persistenti a connotare una scrittura che risulta interessante sia per il valore documentale di un’epoca sia per gli intrecci narrativi dei vari generi proposti: drammi, racconti, diario, poesie. È un’antologia di scritti che potranno coinvolgere anche i lettori di oggi non solo perché rappresentano la voce diretta ed originale di anni molto importanti (1963 – 1971), ma anche perché testimoniano un percorso formativo ed espressivo che vuole essere paradigma universale di un itinerario giovanile di ricerca dei significati di ciò che accade all’uomo e dall’uomo stesso provocato, spesso in maniera paradossale e inaspettata. Ed ecco allora che lo scandalo non è più tanto nei contenuti narrativi proposti, nelle scelte linguistiche e di stile, bensì in quel coacervo di sentimenti, idee, pulsioni, che non riescono a trovare sintesi e azione propositiva di cambiamento e di miglioramento di un mondo, che sembra essere precipitato nei meandri oscuri di un’umanità che ha smarrito ideali e speranze. E Schiele, posto quale copertina del libro con il suo dipinto del 1913 Amicizia, vuole essere una chiave di lettura di testi fortemente connotati di fisicità e di desiderio di riscatto.
È possibile vivere nello stesso tempo più vite senza che tra loro ci sia alcuna interferenza? Fatta una scelta tra le tante che si presentano nella vita, quelle escluse sono definitivamente perse o è possibile un loro recupero? È ciò che si chiede ossessivamente Paolo, il protagonista di questo romanzo, che oscilla tra presente e passato per la definizione di un futuro, che appare sempre più incontrollabile. E questa sua ricerca lo porta a perdere la sua donna, di cui scopre, solo al momento dell’abbandono, di esserne fortemente innamorato. La vicenda si svolge nella terra flegrea, a Nord di Napoli, dove la coppia decide di trascorrere la solita vacanza estiva in maniera diversa, definendo degli itinerari comuni per comprendere un passato vissuto separatamente. Ma presto nascono incomprensioni e quello che doveva essere un periodo di arricchimento della vita di coppia diventa lacerazione e sofferenza. Aprire al passato significa per Paolo penetrare nei risvolti più reconditi dell’animo dell’uomo, è metterne a nudo la sua vera natura, caratterizzata dalla ricerca del piacere e della seduzione in qualsiasi condizione si venga a trovare. Scopre che il godimento della sensualità dei corpi è alla base dei comportamenti umani in ogni tempo. E i Campi Flegrei, che sembrano essere il luogo ideale per questa esplosione dei sensi e del piacere fisico, essendo una terra magmatica e in continuo fermento, offrono itinerari di ricerca non solo nel presente, ma anche nel passato più lontano, come quello di Roma Imperiale. E allora le storie s’intrecciano. La vicenda di Paolo e di Martina si confonde con l’infelice amore di Petronio per Agrippina, uccisa dal figlio Nerone o con la metamorfosi di Lucio nel racconto di Apuleio. Romanzo visionario, che pone domande importanti sul nostro vivere, un romanzo indicato per il terzo millennio dopo Cristo, in quanto nulla è garantito per sempre, i tempi si dilatano, e tutto incombe come su un eterno presente senza mai la certezza di un profilo condiviso per una scelta definitiva. Un prologo, dal titolo emblematico “Paradigma flegreo”, guida alla comprensione del contesto geografico rispetto all’immaginazione letteraria dell’autore.
Una rivoluzione è il mutamento radicale di un ordine statuale e sociale, nei suoi aspetti economici e politici ed è perfetta, quando raggiunge il suo obiettivo senza alcuna violenza e coerentemente con gli ideali prefigurati.
Ma può una rivoluzione essere non violenta? Può realizzarsi senza alcuna forma di oppressione e sofferenza? E durante il suo svolgimento, i rapporti umani, sia nella dimensione pubblica, politica, collettiva che in quella privata, familiare, individuale possono essere improntati al rispetto reciproco, alla solidarietà, alla comprensione, all’amore disinteressato?
Oppure non c’è alcuna speranza, e la violenza domina, come una radice inestirpabile, nella vita politica e nella convivenza umana, sempre e comunque?
E inoltre può l’ideologia, la fede rivoluzionaria, essere più forte dell’amore, dell’attrazione fisica, della passione?
È a queste domande che cerca di dare una risposta Paolo S., il singolare protagonista di questo romanzo, che a settant’anni, intende fare i conti col suo passato per una verifica dei suoi ideali non violenti. L’occasione per questo particolare esame di coscienza gli è offerta dal suo tentativo di scrivere un romanzo su Gesù, inteso soprattutto nella sua dimensione di profeta dell’amore e della non violenza.
La costruzione della trama narrativa lo costringe a guardarsi dentro e attorno, a cogliere i risvolti umani e politici dei grandi eventi storici, in cui si è trovato a vivere (il Sessantotto e l’antimilitarismo, il referendum sul divorzio, la strage di Piazza Loggia, la caduta del muro di Berlino). Contemporaneamente, il presente gli riserva ulteriori sorprese, che mettono a dura prova il suo equilibrio psichico e la sua serenità intellettuale.
Romanzo politico, ma anche visionario, dove gli elementi di sogno e immaginazione s’intrecciano con il marasma di una vita che sfugge ad ogni possibile catalogazione.
Diario minimo di uno scrittore esordiente è un breve saggio sulla letteratura oggi e in particolare sulle problematiche relative alla scrittura e alla forma romanzo.
Non è un testo accademico, tuttavia cerca di fare il punto della situazione in un periodo culturale molto disgregato e confuso, con piani di espressione linguistica che spesso si sovrappongono e tutto appare fluido e sfuma in lontananza ogni tradizione basata sui testi classici e su possibili canoni letterari.
La struttura di questo singolare saggio non è quella formale della mera argomentazione attorno a delle tesi che si intendono sostenere. Già nel titolo appare chiara l’idea portata avanti: la letteratura non è qualcosa di artificioso, di tecnologico, ma è la vita stessa di chi si accinge a scrivere.
E attorno a questo concetto si sviluppa il logos, la narrazione, che si presenta in due distinti momenti: il diario con note di riflessioni e il saggio vero e proprio, che però riprende molte considerazioni della prima parte.
C’è un protagonista: non è il logos, non è l’argomentazione su che cosa vuol dire fare letteratura oggi, cosa vuol dire seguire la propria vena creativa con la narrazione e il romanzo, ma è il punto di vista di uno scrittore molto particolare, lo scrittore esordiente, lo scrittore che si cimenta nella composizione narrativa e si guarda attorno e cerca di capire o meglio si pone severe domande su come funziona la cosa.
Ha come la sensazione che, considerato l’attuale contesto, resterà per sempre uno scrittore esordiente.
Quindi il saggio, parlando di letteratura, in realtà viene a mettere il dito nelle piaghe oggi del mondo letterario creativo e di quello dell’editoria.
Vengono fuori i grandi temi: qual è il rapporto tra letteratura e romanzo, tra qualità narrativa e mercato, tra concorsi letterari e riconoscimento del merito.
Ma soprattutto un aspetto è centrale nella rappresentazione dei vari concetti trattati: bisogna credere in quello che si fa e che la passione creativa appartiene al singolo individuo, a prescindere dal consenso che si manifesta col successo delle copie vendute nel mercato cartaceo o digitale.
È quindi la consapevolezza del proprio percorso letterario a dare fiducia e perseveranza in un’attività così sorprendente e coinvolgente.
Il saggio si chiude con un omaggio a Pessoa, originale interprete della bellezza della letteratura.
L’attesa ha moltissime sfumature di luce e di speranza. Quella di un padre sono infinite, non possono mai identificarsi in un solo colore, perché è la vita stessa che non lo permette. Il padre investe in un figlio, il padre vede nel figlio la sua immortalità, e si sbaglia. Perché quella immortalità non gli appartiene, per cui non resta che attendere, come avviene nella vita di ciascuno di noi. Le cose si complicano con l’azione del Tempo, questa variabile crudele, che sconquassa ogni possibile e immaginaria bellezza. Il Tempo è un triste alleato della Natura, che può deturpare un corpo addirittura fin dalla nascita, e non sempre si è disponibili a condividere la sua disarmonia. Ogni cosa perde senso e non resta che l’immobilismo di un’illusione.
Nelle pieghe della storia antica esiste un esiguo numero di figure tanto suggestive da essere idealmente ascritte non a una dimensione del tutto umana, ma a un contorno sfuggente che sta sul limite che separa dei e mortali, cronaca storica e letteratura filosofica. Diotima, la splendida sacerdotessa di Afrodite evocata da Platone nel suo Simposio, fa parte di queste.
Dalla natia polis di Mantinea, la giovane Diotima parte nel suo viaggio di iniziazione ai misteri della mantica. Intraprende un cammino tanto terreno quanto simbolico, di psicologia e di metafisica.
Diotima, giunta nell’Atene periclea, desidera soprattutto trasmettere la propria concezione filosofica, fondata sulla supremazia di Eros, demone inesauribile della ricerca del piacere, della bellezza e della conoscenza, filosofo ineguagliabile: attraverso i suoi insegnamenti l’individuo può trovare la via per annullare la distanza tra uomo e divinità, giungendo alla piena coscienza di sé e quindi alla libertà.
Fragile di voluttà e ardente di umanità, Diotima è una magnifica icona femminile di indipendenza e di insopprimibile aspirazione al vero. La sublime Saffo, poetessa di grandezza immortale, le fa spiritualmente da guida mentre ella partecipa, con il suo punto di vista rivoluzionario, a grandi eventi decisivi di tutta la cultura occidentale.
Romanzo affascinante, basato sulle fonti storiche e intrecciato nell’invenzione letteraria, dallo stile articolato, che si sviluppa su più piani di lettura e conquista il lettore con la dolcezza del lirismo poetico e la lucidità dell’indagine umanistica.
Susanna e i vecchioni è il titolo del primo dei sei racconti che costituiscono la raccolta di testi narrativi, che, seppure diversi per struttura e intreccio, risultano uniti da un sottile filo concettuale suggerito proprio dal racconto iniziale.
Questo legame si snoda attorno a due tematiche fondamentali: il rapporto tra sessualità e vecchiaia, da una parte, e tra sessualità e felicità individuale, dall’altra.
Ed è soprattutto l’aspirazione alla felicità individuale che spinge i protagonisti dei vari racconti nella ricerca di una sintesi vitale e di un equilibrio che non è facile trovare. Anzi spesso tale ricerca si concretizza in conflitti e scontri.
Attorno al tema della sessualità, poi, emergono i cosiddetti nuovi bisogni che si presentano come nuovi diritti all’interno di una società che dichiara di voler superare restrizioni, emarginazioni, esclusioni, mortificazione dei sensi.
D’altra parte, però, proprio a fronte dei diritti proclamati, riemergono paure, cadute, regressioni.
Alla fine sembra che non ci sia soluzione, se non in una comprensione dell’altro, dei suoi punti di vista, dei suoi particolari bisogni.
In un mondo abituato a cogliere il contrasto netto tra opposti e non le diverse sfumature della realtà i racconti si collocano in una prospettiva apparentemente confusa, a volte fuorviante, ma finalizzata a rappresentare letterariamente il magma incandescente di una vita che non può essere racchiusa in schemi e pregiudizi.
Per questo la materia trattata può talvolta risultare provocatoria o scandalosa, ma è sempre mediata da un intreccio narrativo, che la rende, sul piano letterario, particolarmente interessante e coinvolgente.