Lontano da Napoli quanti conoscono la geografia flegrea? Eppure per me Napoli è la Magna Grecia e la Magna Grecia sono i Campi Flegrei. Un breve tratto di costa campana a Nord di Napoli e lì tu scopri le radici greco-latine investite dalla letteratura antica. Per me andare a Napoli è immergermi in un bagno di luce che si irradia su vestigia di colonne corinzie, archi che sostengono anfiteatri ancora intatti, templi cumani che riecheggiano i versi di Virgilio. Andare a Napoli è percorrere il perimetro del lago d’Averno, che copre il vestibolo dell’Ade raggiunto da Enea. È detta flegrea perché terra che ribolle nelle fumarole della solfatara, nel sollevamento e abbassamento del suolo, che ha trascinato sotto il livello del mare splendide ville dell’Impero romano. E tutt’intorno sagome inquietanti di antichi crateri, qualcuno chiamato Monte  Nuovo perché venuto su in una notte nel XVI secolo a Lucrino.

Ho collocato nella terra flegrea il mio paradigma di sogno e di esaltazione vitale. Ed ho trovato proprio in quella terra la fonte d’ispirazione letteraria. Già Virgilio si incantò davanti a quella cavità geometrica che si apriva (e si apre) su un fianco della rocca di Cuma a Nord di Pozzuoli e immaginò, vedendola  venire avanti, procedendo con passo ieratico, la Sibilla:


S’apre su un antro l’ampio fianco della montagna euboica,
attraverso cui conducono cento ampi passaggi, cento porte,
da dove precipitano altrettante voci, i responsi della Sibilla.

(Da Vite parallele, Europa Edizioni 2016, pagg. 11 - 12)

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