6. feb, 2017
Quando si scrive e poi si vuole vedere la propria produzione concretizzata in una pubblicazione è come vivere due fasi di vita completamente opposte: c’è un primo momento più o meno lungo tutto interno, intimo, come vissuto su un’isola di speranze e sogni, ed è quella che io chiamo la fase dell’innocenza, perché è fatta da ingenuità, spontaneità, puro sentimento e tutt’intorno sembra brillare di umanità e disinteresse. Non ci sono ostacoli alla propria ispirazione e si crea con una pienezza di possibilità e soluzioni. Dopo però segue la fase del disinganno. L’opera esce, gira per il mondo dell’editoria, gira per il mercato degli interessi e delle ferree leggi del successo mediatico. Si è come schiacciati su uno sfondo fatto più di concretezza e realismo e i tuoi sogni rischiano di disperdersi nella vanità dell’immateriale. Eppure non è possibile rinunciare a questa seconda fase: scrivere è come aprire una porta sull’abisso, per cui poi vuoi aggrapparti a qualche appiglio che tenga e impedisca al tempo di dissolvere tutto. Le strade diventano infiniti itinerari e su quelli tu non hai più controllo.